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venerdì 23 gennaio 2015

Il primo passo per l'integrazione? Conoscere.
























Un viaggio nella cultura rom

Originari dell’India nord occidentale, in quella regionale al confine con il Pakistan solcata da numerosi fiumi, quel popolo che poi verrà chiamato Rom si spostò ben presto verso terre a noi più vicine a causa di persecuzioni attribuibili ad un re afghano, giungendo prima in Persia, come ci racconta un testo del poeta Firdusi, poi in Francia, Russia, Spagna e, infine, Italia. Mantenendo nei secoli le caratteristiche di nomadi e le loro tradizioni, chiaramente mescolatesi con quelle dei paesi attraversati, sono stati spesso vittima di emarginazione e campagne denigratorie. Dalla controversa storia, ciò che realmente accumuna questi gruppi di persone è la lingua parlata, in realtà una serie di dialetti, cosiddetti Romanes, che si sono mescolati per decenni alle lingue autoctone prendendone sfumature e caratteristiche. Come negli altri paesi europei, anche in Italia il popolo rom si suddivide in numerosi gruppi con abitudini socio-culturali anche molto diversi tra loro, si evidenziano infatti:
  •          I Caminanti della Sicilia, che vivono in baracche e sono generalmente venditori ambulanti;
  •          I Rom Abruzzesi, in cui si riconosce chiaramente l’integrazione della cultura del meridione in molti riti;
  •           I Sinti, prevalentemente giostrai e nomadi distribuiti in molte periferie delle grandi città;
  •          Per non dimenticare i Rom Lovara e Khalderasa, allevatori di cavalli.
Si comprende così come il ventaglio di attività e occupazioni coperte sia ben più ampio e variegato di quello che i correnti pregiudizi potrebbero far pensare; la condizione del nomade come straniero in un ambiente ostile popolato da estranei (definiti da loro Gagè) per quanto permanga nei gruppi più tradizionalisti, non rappresenta l’unica e la sola realtà di questo popolo. La musica, l’arte, il ballo, l’artigianato, il commercio e l’allevamento sono evidenti attività che ci portano ben al di là della concezione che tende a raffigurarli come ladri e truffatori. Per quanto concerne invece l’organizzazione sociale ciò che li caratterizza è il forte legame e senso di appartenenza al gruppo, in particolare alla famiglia, non intesa solo come gruppo di persone legate da parentela di sangue ma bensì con una visione molto più ampia del termine. La famiglia rappresenta la vera istituzione del popolo rom: l’individuo non è concepito come essere a se stante, ma come parte di un nucleo costruito su tradizioni, tramandate oralmente da anziani a bambini. Uomini e donne hanno generalmente compiti diversi:  mentre all’uomo è riservata l’attività lavorativa, la madre ha il compito di badare ai piccoli finché questi non saranno in grado di seguire il padre, se maschi, o di aiutare con lavori domestici e fratelli minori, se femmine. Come già accennato precedentemente, gli anziani ricoprono un ruolo centrale nella famiglia, oltre che come saggi e detentori delle tradizioni, sono loro stessi che presiedono l’unica autorità giudiziaria presente all’interno del gruppo: il Kris, tribunale che risolve controversie spesso legate a sgarbi matrimoniali attraverso ammende da pagare all’offeso. Proprio riguardo il matrimonio, numerose sono le tradizioni ed i riti, tuttavia tra i giovani si è ultimamente affermata la cosiddetta “fuga degli innamorati” dove i due scappando dai rispettivi gruppi per poi tornare dopo qualche giorno sancendo la loro unione davanti a tutti, seguono festeggiamenti e rispettivi riti legati alle loro credenze religiose. È da ricordare che i rom non hanno una religione che li contraddistingue, bensì tendono ad adottare quella del posto dove vivono integrandola con una forte credenza nel Fato, nel Destino e nel rito dei morti. I trattamenti riservati alle persone scomparse sono spesso curiosi e non convenzionali: i funerali rappresentano un momento di unità del gruppo e di identificazione nel dolore condiviso, vengono spesso bruciati tutti gli averi del deceduto e cosparsa di fiori la strada dove avviene il corteo in onore del morto. Segue un lungo periodo di lutto in cui il nome del defunto diventa un tabù.
Ed è così quindi, che senza pregiudizi e veli ipocriti, possiamo conoscere nuove realtà e provare ad avvicinarsi per creare un percorso di approfondimento umano e culturale che arricchisce chiunque vi si approcci con creativa e concreta curiosità.

Salutinoto but, (vi saluto tanto).

Federica Benvenuti

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