L’attentato alla redazione del
settimanale Charlie Hebdo è stato un fulmine a ciel sereno per il popolo
europeo, svegliatosi all’improvviso in un clima di terrore ed insicurezza che
si pensava fosse stato ormai respinto oltre i confini comunitari. L’atto terroristico
ha suscitato una fortissima emotività, come dimostrato dalla manifestazione
parigina che ha coinvolto più di 3 milioni di persone: emotività che si è
strutturata in due reazioni differenti, se vogliamo antitetiche, che derivano
da due sensibilità politico-culturali di fondo molto lontane tra loro.
- L'una, laica e secolarizzata, ha espresso il più totale sdegno nei confronti della strage, celebrando la libertà di espressione come un valore assoluto e privo di limiti culturali e religiosi: non c’è Dio o tradizione che tenga, la dissacrazione satirica non può e non deve avere limiti. Ognuno ha il diritto di pensare e dire ciò che vuole, assumendosene la responsabilità davanti alla legge e davanti ad essa soltanto.
- L’altra, ideologizzata e, se vogliamo, tradizionalista, ha ugualmente manifestato profonda condanna verso l’attentato (anche soltanto per ragioni di politically correct, d’altra parte), ma ha al contempo sottolineato la matrice islamica dell’evento ed ha posto l’attenzione sulla questione del rispetto: la libertà di espressione, in quest’ottica, ha dei precisi limiti metafisici e morali, ovvero Dio ed i valori tramandati dalla tradizione, che apparterrebbero in qualche modo ad una sfera isolata dal dibattito democratico ed al doveroso riparo dagli attacchi del dubbio laicizzante e della satira. Portata alle estreme conseguenze, come hanno fatto larghe porzioni dell’estrema destra più reazionaria, questa sensibilità tradizionalista si è spinta fino all’affermazione che “la redazione di Charlie Hebdo se l’è cercata”, quasi a lasciare intendere che ci sono alcuni valori che non devono essere assolutamente sfiorati pena la perdita dei diritti civili o la morte (come è avvenuto nelle dittature del passato e come avviene ancora oggi, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei Paesi islamici).
La questione è politicamente importante e filosoficamente spinosa: è possibile convivere in un regime politico liberale, ma al contempo al riparo dall’attacco dissacratorio? È possibile costruire un mondo in cui i privati cittadini sono liberi di dire ciò che vogliono ed al contempo al riparo dalla violenza? Per rispondere a queste domande occorre approfondire la questione della libertà di espressione, della satira e del rispetto.
Innanzitutto: la libertà di espressione. Si tratta di un diritto costituzionalmente garantito, perlomeno nella quasi totalità del mondo occidentale: una delle più grandi conquiste dell’uomo, ed un motore incessante di miglioramento e progresso della civiltà. La satira costituisce la manifestazione più estrema e radicale della libertà di espressione: l’opinione viene infatti espressa attraverso la dissacrazione di una persona / evento / valore, dissacrazione finalizzata (in linea di principio, se la satira è di buona qualità) a mettere in luce o denunciare un aspetto particolare dell’oggetto dissacrato.
Stante questo valore irrinunciabile della libertà di satira, sorge la domanda: come conciliarlo con l’esigenza del rispetto? Scanso a equivoci, occorre dire che alla satira non importa assolutamente nulla del rispetto: agli occhi della “ragion di satira” le battaglie politiche sono più importanti delle sensibilità offese, ed in effetti va detto che la storia del progresso umano è fatta di conquiste politiche che, inutile girarci tanto intorno, corrispondono a equilibri di potere distrutti ed a “sensibilità offese” (pensiamo, ad esempio, alla “sensibilità offesa” di Luigi XVI nel veder crollare l’Ancien Régime sotto i colpi della satira prima, della rivoluzione poi).
La satira, per sua natura, non ha a che fare con il rispetto: si costruisce anzi sulla negazione di esso, con l’implicita convinzione che, se c’è bisogno della satira e della sua funzione di denuncia socio-politica, la ragione è che evidentemente la “sensibilità” di un qualche individuo o gruppo sociale (dalla piccola minoranza sessuale alla grande comunità politica) è già stata o è attualmente “offesa”, “attaccata”, con la violazione di una sua libertà personale o di un suo diritto civile. Secondo Charlie Hebdo il suo, prima che un attacco, è un atto di difesa: dissacriamo Maometto e l’Islam perché è inaccettabile che, nel mondo islamico, i diritti dell’individuo siano sistematicamente e culturalmente negati; dipingiamo una vignetta satirica sulla pedofilia nella Chiesa cattolica perché il problema della pedofilia nel clero esiste ed è ignorato dall’opinione pubblica, si offendano pure i cattolici ma la satira ha il dovere morale di denunciarlo.
La questione della “satira che manca
di rispetto” è dunque priva di senso, e di fronte a questa constatazione
ognuno di noi è di fronte ad una scelta culturale che è al contempo una presa
di posizione politica: difendere il potere, i suoi tabù e le sue tradizioni,
oppure il diritto di mettere tutto quanto in discussione. Una scelta, come si
intuisce facilmente, che costituisce uno spartiacque tra l’Occidente
secolarizzato e l’Oriente tradizionalista.
Detto questo a proposito della necessità di libertà totale
per la satira, ci sono due considerazioni da fare.
- La prima: il rispetto interculturale è un’esigenza immancabile, se vogliamo vivere in una società al contempo multietnica e pacifica. Si possono avere tutte le libertà costituzionalmente garantite, infatti, ma se ogni volta che si esce di casa c’è il rischio di finire vittime di una strage e dunque perdere la vita – e senza la vita viene meno il presupposto stessa della libertà: difficilmente reputeremmo “libero” un morto, anche se a pensarci bene i morti hanno la libertà più grande, e cioè poter non ascoltare la retorica demagogica di Salvini – ci reputeremmo liberi con molta reticenza. In poche parole: la libertà, concretamente parlando, si ha quando si può dire e fare tutto ciò che non è vietato dalla legge senza il timore / pericolo di rimetterci le penne, e quando ci sono fondamentalisti pronti ad uccidere in nome di un ideale offeso la libertà semplicemente è impossibile.
- La seconda considerazione: la satira richiede (e rivendica) una cultura laica e liberale che ha, tra i suoi requisiti, una mentalità diffusa basata sul rispetto e la tolleranza altrui.
E’ possibile, dunque, conciliare
le due cose, libertà di satira e diritto al rispetto? Sì, anzi: siamo obbligati
a farlo, se vogliamo vivere in una società liberale ed al contempo
multiculturale e pacifica.
Mi permetto di delineare un
modello di società ideale in cui coesistono libertà di satira e diritto al
rispetto, sapendo che è un orizzonte irraggiungibile dall’uomo ma pur sempre un
orizzonte che ci deve indicare la via nella nostra azione politica collettiva.
In primis, occorre accettare
il fatto che, se vogliamo una società democratica e liberale, la satira ci sarà
sempre e sarà tanto più forte e dissacrante nei momenti di maggiori tensioni
sociali e politiche, per il semplicissimo fatto che la denuncia socio-politica
è tanto più necessaria quanto più strette si fanno le maglie repressive del
potere.
Bisogna poi accettare il fatto
che la pacifica convivenza tra etnie e culture differenti (per quanto
laicizzate e secolarizzate) si può avere soltanto sulla base di un reciproco
rispetto e di una reciproca tolleranza, che si concretizzano (alla luce
dell’irrinunciabilità della satira) sia nell’accettazione della possibilità che
ognuno di noi possa essere oggetto, con la propria cultura ed i propri valori,
della dissacrazione satirica, sia nell’impegno personale e collettivo a ridurre
al massimo i casi di satira estrema che vanno a toccare i tasti più dolenti
della nostra sensibilità culturale: insomma, bisogna non provocarci l’un
l’altro per il semplice gusto di farlo, incuranti degli effetti che una tale
provocazione più generare.
La storia presenterà il suo conto, prima o poi: a
noi la scelta se essere travolti o avere qualche speranza.
Niccolò Biondi, Segretario GD Scandicci
(sulla base delle riflessioni emerse nella riunione dei Giovani Democratici Scandicci di Lunedì 9 Gennaio. Pubblicazione curata da Beatrice Bandini, Responsabile alla comunicazione dei GD Scandicci)
(sulla base delle riflessioni emerse nella riunione dei Giovani Democratici Scandicci di Lunedì 9 Gennaio. Pubblicazione curata da Beatrice Bandini, Responsabile alla comunicazione dei GD Scandicci)
Nessun commento:
Posta un commento